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Intervista a Il Mattino Avellino, 24 novembre 2023, di Alberto Nigro

«De Mita è stato un grande Ieader con una grande capacità di dialogo. Le aree interne? Una risorsa per il Paese, ma servono politiche coraggiose». Lo afferma il parlamentare Ettore Rosato che oggi pomeriggio sarà a Sturno tra i protagonisti del convegno intitolato «Continuerò a parlare» dedicato alla figura dell’ex presidente del Consiglio, Ciriaco De Mita.

Rosato, cosa ha rappresentato De Mita per il Paese?

È stato un leader capace di rappresentare in maniera attenta il suo territorio e la nazione ed ha attraversato la storia della Democrazia Cristiana con autorevolezza. Ha sempre dimostrato, inoltre, grande capacità di dialogo, virtù che probabilmente non gli e mai stata riconosciuta fino in fondo.

Si è occupato spesso di questioni come la forma partito e le riforme istituzionali, sempre con lo sguardo rivolto al futuro. Riscontra un’attualità nel suo pensiero?

La riscontro sia nel suo che nel pensiero di coloro che hanno vissuto quella stagione da protagonisti. Certo, parliamo di tempi non confrontabili, di una società profondamente diversa e, dunque, di una politica che la rappresenta in maniera diversa. Tuttavia, la forma dello Stato, che vuol dire l’efficienza e la rappresentatività, e la forma partito, che vuol dire luoghi di confronto e partecipazione e sintesi delle esigenze del Paese, vanno ripensate alla luce delle esperienze della Prima Repubblica, che in tal senso ha dimostrato maggiore solidità rispetto alla Seconda.

È impossibile parlare di De Mita senza far riferimento alla Democrazia Cristiana. Dalla fine di quella esperienza sono nati e tramontati innumerevoli tentativi di ricostruire una casa comune. Crede ci si possa riuscire? E come?

Innanzitutto, credo che il tentativo di mettere insieme le forze moderate non debba nascere in maniera nostalgica. In secondo luogo, ritengo che debba caratterizzarsi su un programma coraggioso e riformista, muovendo da radici valoriali profonde e recuperando uno stile che nulla ha a che fare con la politica urlata e degli strappi che viviamo adesso.

Sono 43 anni esatti dal terremoto del 1980. Lei non e di queste parti, ma ha ricordi di quell’avvenimento?

Ho dei ricordi molto vividi perché pur essendo nato e cresciuto a Trieste la mia famiglia è campana. Non solo. dunque, ho vissuto quei momenti con l’apprensione per i miei cari, ma anche con il ricordo della tragedia che qualche anno prima aveva colpito il Friuli.

Quella catastrofe ha colpito duramente un’area interna ed oggi si continua a discutere di aree interne, nel migliore dei casi, come di opportunità sprecate. Non crede sia giunto il tempo di andare oltre la lamentazione ed individuare soluzioni?

Insieme all’inverno demografico, a mio avviso, questo è il problema principale di lungo periodo da affrontare. Un problema che si risolve solo con politiche coraggiose, fatte di grandi investimenti dal respiro lungo. Mi riferisco, chiaramente, ad investimenti sulla sanità, sull’istruzione, sulle infrastrutture, sulle reti di prossimità e su tutti quei servizi in grado di elevare la qualità della vita di chi sceglie di restare nelle aree più interne del nostro Paese.
Purtroppo oggi i servizi sono spesso disegnati a misura di città.

La pandemia, a suo avviso, è servita ammettere sotto i riflettori le aree interne, facendo emergere pregi che un tempo venivano considerati limiti?

Sicuramente sì, ma non credo che basti. È un po’ come avviene con il rischio idrogeologico: l’allarme scatta solo quando succede qualche disastro.