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Intervista al Quotidiano Nazionale, 9 novembre 2023, di Cosimo Rossi

Onorevole Ettore Rosato, lei che prima di Popolari Europeisti Riformatori si è occupato di riforme per Renzi, autore della legge elettorale che dal suo nome è detta “Rosatellum”, cosa pensa di questa formula di elezione diretta proposta dal governo?

“Non mi sembra vada nella direzione di rendere il sistema più funzionale. Intanto manca quella che per me resta la questione principale, cioè la fine del bicameralismo perfetto. E poi si vanno a indebolire le prerogative del Presidente della Repubblica, che resta non solo l’istituzione che più piace agli italiani, ma che meglio ha aiutato il Paese a fronteggiare i marosi di questi anni”

Non disturbare il Quirinale, però, non può diventare un pretesto ostativo, soprattutto di fronte a una ipotetica convergenza in Parlamento. Anche la Bicamerale di D’Alema aveva impostato il semipresidenzialismo.

“Ma se andiamo a intaccare un’istituzione che funziona per non rendere più efficienti le altre l’equilibrio non c’è più. Il pasticcio, secondo me, sta tutto nella formula di elezione diretta del premier e nei meccanismi successivi, a cominciare dalla possibilità di una sua sostituzione in corsa, con un altro parlamentare vincolato alla stessa maggioranza. Per capirsi: il governo Draghi, nato in una fase di emergenza, non sarebbe più possibile a norma di Costituzione nemmeno per palese volontà di tutti. Una forzatura sbagliata”.

Rimane pur sempre in vigore l’articolo 67 sul fatto che i parlamentari non hanno vincolo di mandato.

“Appunto. Mi sembra un’altra contraddizione anche questa. Mi auguro che nessuno pensi di toccarlo”.

Tra la riforma d’iniziativa del governo anziché parlamentare e l’elezione diretta, non emerge un desiderio di prendere in mano l’azione legislativa?

“Non faccio processo alle intenzioni e non leggo questo nel testo. Io credo che il potere legislativo vada rafforzato attraverso un’unica camera che faccia le leggi, quindi un parlamento più forte, cui può corrispondere un rafforzamento dei poteri del premier. Senza la fine del bicameralismo attuale entriamo in una spirale in cui i cambiamenti rendono più fragile il sistema anziché rafforzarlo”.

Vuol dire che volete essere della partita?

“Siamo molto interessati al dialogo sulle riforme. Senza preclusione. Anzi, vogliamo farle insieme. Perché è chiaro che c’è bisogno di rivedere i meccanismi istituzionali, le attribuzione dei poteri tra Stato e Regioni, il bicameralismo che non funziona. E in questo quadro rientra anche un rafforzamento del premier”.

Come?

“Da un lato con l’indicazione del candidato nella legge elettorale per esempio e dall’altro con la sfiducia costruttiva come unico modo per allontanarlo. Uno strumento di garanzia, che aiuterebbe la stabilità, senza però impedire al Parlamento e il Capo dello Stato di prendere atto di circostanze straordinarie che possono determinarsi”.

A parte la sentenza della Consulta che impone una soglia minima, della proposta di legge elettorale con premio al 55% cosa pensa?

“Paradossalmente, con la proposta del governo una coalizione che ottiene il 57% verrebbe ridotta al 55. Bisogna metterci mano. Poi, dopo qualsiasi tipo di riforma costituzionale che impatta su Governo e Parlamento è evidente che occorrerebbe rivedere la legge. E non è indifferente il modo: turno singolo o doppio turno, collegi uninominali, preferenze o liste bloccate fanno molta differenza. Per questo credo sia giusto da un lato non ingessare troppo la Costituzione e d’altro lavorare insieme alla sua riforma e alla legge elettorale con un percorso parallelo che aiuti la chiarezza”.

Riassumendo le differenti obiezioni, sembra che tutte propendano più o meno per il cancellierato alla tedesca…

“Se volessimo dare una mano alla governabilità, piuttosto che inventare un sistema italiano io adotterei appunto quello tedesco. Sul quale per altro avevamo raggiunto un’intesa durante la discussione sulla legge elettorale tra Pd, 5stelle, Lega e Fi, che comprendeva anche i partiti più piccoli di allora, che obiettavano solo sulla soglia di sbarramento al 5 %. Potrebbe essere uno stimolo molto più interessante per lavorare con una maggioranza ampia sulle riforme”.