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Da queste elezioni amministrative emergono alcuni dati importanti.
Il primo. Ancora una volta, a fare la differenza sono le persone, i candidati sindaco e chi ha lavorato bene sul territorio. Chi ha costruito un progetto di città e non si è accontentato di rappresentare solo una parte. Penso a Bucci a Genova, a Giordani a Padova…
Il secondo. Come ho detto a Porta a Porta ieri sera, nelle città dove il centrosinistra ha affidato la leadership culturale della coazione ai 5 Stelle preferendolo all’accordo con i riformisti, il centrosinistra resta indietro; anche perché il contributo del Movimento 5 Stelle in termini di voti è praticamente inesistente. Pensate che a Padova, al momento (a spoglio in corso), i 5 Stelle si fermerebbero all’1,3%, a Piacenza poco sopra il 2%, a Messina al 2,5% mentre a Taranto attorno al 4%.
Il terzo. C’è spazio per un terzo polo. Lo dimostrano le candidature che come Italia Viva abbiamo contribuito a costruire in tante realtà, come a Carrara con il nostro Cosimo Ferri o a Verona. E penso anche alle candidature portate avanti da Azione e +Europa all’Aquila o a Palermo. Mi chiedono spesso se questa è una premessa in vista delle elezioni politiche… sicuramente è un chiaro segnale che ci è arrivato dall’elettorato: la tanta voglia che c’è di un’alternativa alle politiche populiste di Conte e Landini da una parte, e di Salvini e Meloni dall’altra.

Come ho detto qualche giorno fa al Foglio, l’agenda Draghi è molto più radicata tra i cittadini di quanto si possa immaginare. Per questo serve creare uno spazio politico per dare voce a quanti non si riconoscono in un bipolarismo tra estremismi. Penso non al partito del premier, ma al partito che sostiene con convinzione l’azione del suo governo.

Infine sui referendum. Il mancato raggiungimento del quorum non era certo un dato inaspettato. Si è scontata anche la scarsa informazione: da una parte il tema della guerra ha sovrastato tutto, dall’altra non tutti i partiti hanno fatto campagna elettorale. Il risultato dei quesiti offre comunque lo spaccato di un’opinione più ampia di quel 20% degli italiani che ha votato, e partendo da questo dato dobbiamo iniziare una battaglia per una riforma della giustizia che non può essere più rimandata.

 

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